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Alla scoperta della ristorazione a km 0

Ristorazione a km 0

Ristorazione a km 0: facciamo chiarezza

Il tema della ristorazione a km 0 è sulla bocca di tutti e spesso il termine è utilizzato con un’accezione estremamente positiva, quasi che la sola etichetta “a km 0” possa garantire livelli di sostenibilità e qualità del prodotto.

Spesso si fa confusione sul reale significato del termine  “km 0”, facendo adottare a ristoratori e consumatori comportamenti sulla base della loro personale interpretazione del termine e non quella effettiva:

  • I ristoratori, pur di sfruttare la forza di questa “etichetta” nei loro menù, possono essere portati a scegliere sempre l’opzione geograficamente più vicina anche a discapito dell’effettiva qualità della materia prima.
  • I clienti, in maniera analoga, tendono istintivamente a scegliere piatti che riportano tra gli ingredienti materie prime a km 0, considerando in maniera -immeritatamente- negativa quei piatti che fanno uso di prodotti surgelati (sul tema della cattiva reputazione dei prodotti surgelati, specialmente la carne, abbiamo dedicato un approfondimento in questo articolo).

Con questo blog post, da operatori da tanti anni nel settore, specialisti della carne sia fresca che surgelata, desideriamo condividere parte della nostra decennale esperienza e aiutare a fare chiarezza su cosa significa esattamente fare “ristorazione a km 0” e come può essere adattata per venire incontro alle esigenze di gestione di un ristorante e di aspettative per i clienti.

Cosa significa esattamente “chilometro 0”?

Per quanto il termine “ristorazione a km 0” faccia parte del dibattito enogastronomico da diversi anni, una definizione legale è arrivata solo in tempi abbastanza recenti.

Con la legge n.61 del 17 Maggio infatti il Parlamento Italiano stabilisce i criteri che regolano l’offerta e la vendita dei prodotti a km 0, a filiera corta; istituisce e regola i loghi, definisce alcuni strumenti di valorizzazione e promozione e fissa le sanzioni per gli utilizzi illeciti.

Per quanto riguarda il km 0 la legge stabilisce che possono essere considerati a Km zero gli alimenti prodotti nel raggio massimo di 70 chilometri dal luogo di vendita o di consumo, o provenienti dalla stessa provincia (oppure sbarcati entro i 70 km, nel caso del pescato).

Per quanto riguarda invece un prodotto a filiera corta, i prodotti caratterizzati da questa dicitura devono arrivare al consumatore finale passando al massimo attraverso un intermediario.

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Qualche considerazione a seguito della definizione legale

Dopo aver analizzato la definizione legale di km 0, una considerazione è d’obbligo: la legge definisce un prodotto come tale esclusivamente sulla base di un criterio geografico.

Da ciò ne deriva che “chilometro zero” non è sinonimo di:

  • un prodotto biologico;
  • un prodotto sostenibile;
  • un prodotto di qualità garantita.

Il ristoratore che vuole offrire nel suo ristorante una cucina sostenibile, non può quindi semplicemente accontentarsi di comprare prodotti in un raggio di 70km ma deve anche accertarsi autonomamente che il produttore gli fornisca un prodotto effettivamente sostenibile.

Un caso limite (ma non per questo meno concreto)? Quello della verdura prodotta fuori stagione.

Per poter coltivare e produrre in una determinata area una verdura fuori stagione bisogna ricorrere a modelli di coltivazione intensiva in serra che richiedono ingenti quantità di energia.

E se si volesse poi calcolarne il carbon footprint (il parametro che viene utilizzato per stimare le emissioni gas serra causate da un prodotto, da un servizio, da un’organizzazione, da un evento o da un individuo, espresse generalmente in tonnellate di CO2 equivalente) si potrebbe scoprire come una verdura locale prodotta fuori stagione in serra sia responsabile di un più alto valore di emissioni che acquistare tale verdura tramite importazione.

Discorso analogo con la carne: servire nel proprio menù carne a km 0 proveniente da un allevamento intensivo può risultare accattivante e indurre in inganno il cliente che nel menù legge “km 0”, ma a livello di sostenibilità si arrecano solo danni (e non solo all’ambiente in senso stretto, ma anche al benessere degli animali).

Ma quindi la ristorazione a km 0 è una truffa?

Assolutamente no.

I prodotti a km 0 o a filiera corta rappresentano delle opportunità per la ristorazione, tuttavia bisogna ricordare e tenere sempre bene a mente che non si tratta di “prodotti magici” o “intrinsecamente migliori” in virtù della sola definizione attribuitagli dalle norme di legge.

Come quando ci si approccia all’acquisto di qualsiasi materia prima, anche per questa categoria è necessario prestare le dovute attenzioni per assicurare i massimi livelli di qualità delle proposte del ristorante.

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Quando risulta estremamente vantaggioso offrire proposte di ristorazione a km 0?

I prodotti a km 0 sono particolarmente vantaggiosi per un ristorante quando si vuole offrire e far conoscere alla clientela i prodotti d’eccellenza di un territorio.

Se un ristorante ha a disposizione delle materie prime locali di qualità può offrire al cliente che desidera consumare una portata tipica e legata al territorio su quelle voci di menù a più elevata marginalità per l’attività.

Ma non necessariamente un menù deve essere composto solo da piatti che fanno uso di questo tipo di materie prime.

Soprattutto se si parla di carne, avere un menù flessibile può fare la differenza e venire in soccorso ad una clientela specifica come per esempio una famiglia con bambini.

Difficilmente una bistecca è un piatto che può soddisfare un bambino, meglio quindi avere anche a disposizione piatti come gli hamburger.

In questo caso pratico, ma anche molto comune, si dimostra come l’utilizzo di prodotti a km 0 non deve essere inteso necessariamente in maniera esclusiva, ma complementare al fine di offrire varietà ai consumatori che decidono di ordinare un pasto nel ristorante.

Qualche considerazione finale sulla ristorazione a km 0

In definitiva cosa possiamo dire della ristorazione a km zero?

Può rappresentare un’occasione per un ristorante di offrire nel suo menù delle proposte di qualità dell’enogastronomia locale e quindi offrire piatti più ricercati e particolari.

Ma non bisogna comunque cadere nel tranello e illudersi che basta soltanto adempiere agli obblighi di legge in materia di kilometro 0 per assicurare qualità e sostenibilità.

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I prodotti a km 0, come tutte le materie prime del resto, devono essere acquistati con le dovute attenzioni.

Come è stato ampiamente dimostrato, km 0 non necessariamente significa sostenibile e per questo sarebbe opportuno superare la visione binaria che vede agli estremi l’utilizzo di soli prodotti locali da una parte, e prodotti non locali dall’altro.

Come spesso accade, i migliori risultati si hanno attraverso la contaminazione e la sperimentazione, creando menù ampi e variabili che giocano con tutti i tipi di materie prime: il denominatore comune delle proposte di un ristorante deve essere la qualità e non il chilometraggio.

E qualora serva un aiuto per accendere la scintilla della fantasia, si può fare affidamento sulla nostra lunga esperienza al fianco degli operatori della ristorazione.

Accedere a questa esperienza ora è più facile, basta visitare la nostra Academy, una piattaforma che vuole essere luogo di scambio e crescita, pensato per fornire opportunità e risorse ai professionisti della ristorazione, un’occasione di esperienza e sorpresa sempre all’insegna di eccellenza, garanzia e sicurezza.

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